mercoledì 13 aprile 2011

L'Italia può uscire dallEuropa

Europa - Fotolia
"Mi chiedo se ha senso rimanere nell'Unione europea. Meglio soli che male accompagnati". Così il ministro degli Interni Roberto Maroni ha commentato la decisione con cui Bruxelles ha respinto la richiesta dell'Italia di accordare il permesso di soggiorno umanitario a 22mila migranti alleviando così al nostro paese l'onere della gestione dei flussi migratori, in netto aumento dall'inizio delle crisi politiche nei vari stati del Maghreb.
L'amara riflessione del ministro conduce a una domanda molto semplice: possiamo davvero uscire dall'Europa? La risposta è altrettanto semplice: sì. Tutt'altro che semplice, invece, sarebbero le conseguenze di una scelta tanto drastica, sia sul piano pratico sia su quello storico, non proprio secondario.
Cosa accadrebbe all'Euro?L'istinto è veloce: fuori dall'Europa, fuori dall'Euro. La realtà è più lenta, e contempla situazioni diverse. Come quella, per esempio, del Montenegro, che adotta la nostra moneta pur non essendo parte dell'Unione. Se l'Italia decidesse di abbandonare l'Ue, potrebbe comunque conservarne la divisa, continuando a far dipendere la propria politica economica dalla Banca Centrale Europea (Bce). L'Italia sarebbe quindi obbligata a rispettare quelli che per anni abbiamo conosciuto come "parametri di Maastricht": inflazione inferiore al 3% del Pil; debito pubblico inferiore al 120% del Pil. Regole imprescindibili per controllare l'inflazione e la spesa pubblica, ed essere difesi da manovre speculative sul valore della propria moneta. In altre parole, per non finire come l'Argentina del 2001.
La situazione del Montenegro, tuttavia, è un caso unico. La piccola repubblica ex jugoslava— indipendente dal 2006 — è ancorata all'Euro perché quando ancora era federata alla Serbia volle adottare il marco tedesco per rendersi stabile e indipendente, sotto il profilo economico, da Belgrado. Nel caso di un'uscita come ventilata da Maroni — cioè sbattendo la porta — è ragionevole ipotizzare anche un ritorno alla lira. Cioè a un governo della moneta meno "tedesco" e più "latino". Rinunciare alla sicurezza teutonica in un momento di crisi planetaria com'è quello attuale potrebbe condurci alla situazione del paese di cui poco sopra. Quello di Maradona.
Ma come si esce dall'Europa?Prima di capirlo, è necessario fissare una questione: mentre esiste una norma europea che consente di recedere dall'Unione, non esiste una che consente di recedere dall'euro. Insomma, per uscire dalla moneta bisogna esercitare la clausola di recesso fissata nell'articolo 50 del trattato di Lisbona (l'insieme di norme europee che ci governa, approvato nel 2007). Il testo è cristallino: "Ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall'Unione". Nel caso, si apre un negoziato tra il "dissidente" e l'Unione stessa, si trova un accordo e questo deve essere approvato sia dal Consiglio che dalla maggioranza dei membri del Parlamento europeo. Questa procedura può durare fino a due anni.

Una volta fuori?
Sul piano giuridico, non saremmo più destinatari delle norme e degli atti emanati dal Parlamento, dal Consiglio e dalla Commissione europea, cioè dagli organi di governo dell'Unione. Riprenderemmo, in pratica, a fare il grosso delle leggi come le abbiamo fatte fino al trattato di Maastricht (1992), seguendo cioè soprattutto gli interessi nazionali e non quelli continentali. Da Maastricht in poi, con un corposo trasferimento di sovranità (cioè di potere di governo) da Roma a Bruxelles il centro delle decisioni si è spostato nella capitale belga. Questo non significa che l'Italia non decida più per se stessa; continua a farlo, ma da un lato non può farlo in contrasto con i principi stabiliti nei trattati europei, dall'altro è in alcuni casi tenuta a ratificare e a dare applicazione ad atti normativi (cioè atti che stabiliscono regole) provenienti dagli organi europei.
Fuori da tutto ciò, potremmo invece fare ciò che più ci garba. Per esempio, dichiarare guerra alla Francia (cosa che ora i trattati ci vietano). Dal punto di vista pratico, la conseguenza immediata sarebbe l'uscita dall'area Schengen, quindi il ritorno delle frontiere e delle dogane. Per stare alla Francia, lasciarsi alle spalle Ventimiglia non sarebbe più naturale come lo è ora.
E' davvero ipotizzabile?In fantapolitica, sì. Nella realtà, l'uscita dell'Italia dall'Unione europea costituirebbe un problema di proporzioni gigantesche anche per la stessa Italia. Chi rinuncerebbe, per fare facile esempio, ai Fondi Europei grazie ai quali nascono non poche attività imprenditoriali? E che fine farebbe la Politica Agricola Comune, colonna di sostegno ad un settore vitale per l'Italia qual è l'agricoltura?
A questi rilievi pratici si aggiunge poi una considerazione storica. L'idea di Europa come la viviamo oggi è nata dopo il 1945 per chiudere definitivamente il capitolo delle guerre europee; un capitolo lungo ventisei secoli e inaugurato dall'espansione dell'antica Roma. Le ostetriche di quell'idea furono tre statisti: i francesi Jean Monnet e Robert Schuman e l'italiano Altiero Spinelli. Dalla loro spinta ideale è nata nel 1951 la Ceca (Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio), embrione di quella che nel 1957 sarebbe diventata la Cee, Comunità Economica Europea. La fondarono in sei: Francia, Germania Ovest, Belgio, Olanda, Lussemburgo e Italia. Insomma, se non ne è proprio la mamma, è però sicuro che il nostro paese era in sala parto quando l'Europa veniva alla luce. E' anche questo uno dei motivi per cui lo sfogo di Maroni è destinato a rimanere tale.

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