martedì 28 giugno 2011

Liberiamo i 5 falsi mitit della Grecia

Grecia (Reuters)
"La colpa della crisi economica che sta colpendo duramente la Grecia è totalmente responsabilità dei politici che hanno portato in rovina la nazione". "Bisogna agire in fretta, non c'è più tempo da perdere". "Atene oramai non è più in grado di pagare". Sono alcune delle affermazioni più diffuse in questo ultimo periodo, ma in molti casi si tratta di veri e propri miti che bisognerebbe sfatare. Tra gli altri, ha provato a fare chiarezza Simon Nixon, un giornalista del Wall Street Journal che cura la rubrica Heard on the Street (Sentito per strada). Ecco i punti cruciali messi in luce da Nixon, che ha preso in considerazione alcuni modi di dire che si sono consolidati negli ultimi tempi a questo riguardo e li ha smontati pezzo a pezzo.


In primo luogo, non è vero che la Grecia è insolvente. Come hanno fatto notare due economisti, Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, il default di uno Stato ha a che fare più con la volontà di pagare che con la capacità di saldare i propri debiti. Ed è innegabile che il Paese ha al proprio arco ancora parecchie frecce per aggiustare le cose: conta su un patrimonio molto vasto, potrebbe tagliare la spesa in modo drastico (come sta cercando di fare, del resto), schiacciare l'acceleratore sul versante delle tasse e migliorare la produttività, se fosse pronta a fare sacrifici importanti. "Piuttosto che la solvibilità", dice Simon Nixon, "la sfida per la Grecia è se i cambiamenti richiesti siano politicamente possibili".

In secondo luogo, tiene a sottolineare il giornalista, è improbabile che il fallimento dello Stato potrebbe essere nell'interesse della stessa Grecia, anche se si tratta ormai di una vulgata che pare essersi diffusa parecchio negli ultimi tempi. Il ragionamento è lineare: il Paese è ancora appesantito da un deficit primario consistente, per cui anche se arrivasse a tagli addirittura del 50% per chi possiede bond greci (emessi dallo Stato per finanziarsi), avrebbe comunque bisogno di prendere subito molti soldi in prestito o sottoporre lo Stato a taglia draconiani. Per non parlare del sistema bancario, che collasserebbe a causa del prosciugamento dei fondi, e delle regole della Banca centrale europea, che imporrebbero di considerare come spazzatura i bond greci.

Uno dei miti più diffusi, comunque, continua ad essere questo: "Non c'è tempo da perdere, bisogna agire subito". Non proprio. Ci sono buone ragioni per prendere tempo. Per esempio, ricorda Simon Nixon, in questo modo si incoraggerebbero Portogallo e Irlanda a proseguire con i loro piani di salvataggio. Inoltre, gli investitori si sentirebbero rassicurati e proseguirebbero quindi a finanziare il debito di altre banche e di altri Paesi a rischio. In altre parole, posticipando il più possibile il default (possibile "a data da destinarsi", come si dice), si potrebbe creare un clima di maggior fiducia che consentirebbe anche alle altre economie fragili del Continente di riassestare i propri conti (si pensi alla Spagna o all'Italia, per esempio).

In quarto luogo, non è vero che il fallimento di Atene potrebbe avere le stesse conseguenze del crollo della Lehman Brothers (quello passato alla storia come il primo grande crack a cui è seguita la crisi economica e finanziaria in tutto il mondo). Il mercato, sostiene il giornalista economico, non è pronto per una ristrutturazione del debito greco. Dopo qualche tentennamento iniziale, lo ha ammesso anche la Germania di Angela Merkel: oltre alle conseguenze immediate sui capitali bancari, un eventuale default creerebbe danni a cascata ancora più grossi, facendo schizzare alle stelle, per esempio, i costi dei prestiti bancari e governativi. Meglio andarci con i piedi di piombo prima di spegnere la spina al malato greco, par di capire.
Infine, non è vero neppure che tutte le colpe della crisi in corso possano essere addebitate alla Grecia. Almeno non completamente. Ancora oggi, infatti, i Paesi della zona euro stanno punendo Atene con tassi d'interesse quasi doppi rispetto a quelli applicati dal Fondo monetario internazionale o dall'European financial stability facility. Una situazione, naturalmente, che complica ancora di più le cose per la Grecia.

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