giovedì 25 novembre 2010

Chi sarà la prossima nazione a fallire???

(Getty)
Dopo settimane di titubanze, il governo irlandese ha deciso di accettare aiuti internazionali per non fallire, assicurando in cambio tagli ingenti ai costi. Mentre tra le banche d'affari crescono i rumors sui prossimi paesi che potrebbero finire sotto i colpi della speculazione internazionale.
Soldi in cambio di tagli
L'Unione europea e il Fondo monetario internazionale aiuteranno l'Irlanda con un piano di 85 miliardi di euro in tre anni, con la prima tranche che verrà disposta a gennaio. Il governo irlandese, in cambio, ha assicurato il proprio impegno per rientrare dagli squilibri con un piano di austerity da 15 miliardi di euro fino al 2014, che tra le altre cose prevede l'aumento dell'iva (al 22%), tagli al welfare e riduzione degli stipendi agli impiegati pubblici di nuova assunzione (10%).
La coda velenosa della crisi
La situazione irlandese è deflagrata proprio quando la crisi finanziaria sembrava ormai alle spalle. Qualcosa di simile si era già visto la scorsa primavera, con la Grecia sull'orlo del default, proprio mentre altri paesi europei davano i primi segnali di ripresa. Poi è toccato all'Ungheria traballare sotto il peso della speculazione internazionale, ma — almeno per il momento — la situazione sembra rientrata.
I motivi dello sboom
Le cause della crisi irlandese sono simili a quelle che hanno innescata la crisi finanziaria ovvero lo scoppio della bolla immobiliare, con circa 300mila case realizzate (su quattro milioni di abitanti) che nessuno vuole più e prezzi che calano a picco, e la fragilità di un sistema creditizio, con la tendenza a indebitarsi oltre ogni logica di buon senso. I due mondi sono interconnessi, visto che il crollo degli immobili ha ulteriormente aggravato la situazione delle banche che si sono esposte con i mutuatari.
Quali i rischi per l'Europa?
Per comprendere la portata della posta in gioco basta qualche numero: le banche tedesche, inglesi e francesi hanno in cassa circa 400 miliardi di bond irlandesi. In caso di default del paese, il danno sarebbe enorme per i risparmiatori di tutta Europa, innestando un circolo vizioso fatto di meno soldi in tasca da spendere, meno consumi e ulteriore aggravamento della situazione occupazionale.
Ecco perché l'Ue è intervenuta subito, mettendo in campo il Fondo per salvare i paesi in difficoltà creato durante la crisi greca. Non tutto, però, è andato liscio. Il governo tedesco spinge per non prolungare oltre il 2013 la vita del Fondo, perché la garanzia di essere salvati spinge a ogni forma di furbizia gli uomini politici. Gli altri paesi si sono opposti a questa eventualità e a pagarne le conseguenze è stato soprattutto l'euro, da mesi sotto pressione per le voci che lo vorrebbero in bilico.
E l'Italia?
L'ipotesi di dover tornare alle monete nazionali fa rabbrividire. Per l'Italia, che quest'anno crescerà di un modesto 1%, dopo aver ceduto il 5% nel 2009, sarebbe quasi impossibile garantire la stabilità. Il differenziale dai titoli di Stato tedeschi si amplierebbe a dismisura: in sostanza, il Tesoro dovrebbe garantire tassi di interesse più elevati sui titoli di Stato e a pagare le conseguenze del maggiore indebitamento saremmo tutti noi.
A prescindere da questa ipotesi, ci sono altri paesi del Vecchio Continente che oggi rischiano più dell'Italia perché presentano un rapporto tra deficit e pil più elevato del nostro (5%): in primis la Spagna (9,3%), anche in questo caso a causa dello sboom immobiliare, e il Portogallo (7,3%) che paga la fragilità delle sue ridotte dimensioni.

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