
LA POSIZIONE DELL’AZIENDA - Il datore di lavoro di Souza, l’American Medical Response del Connecticut, ha smentito le affermazioni dell’ufficio sindacale, affermando che sono fuori luogo. «L’impiegata in questione è stato licenziato sulla base di diverse e gravi lamentele sul suo comportamento - ha dichiarato la compagnia -. La dipendente era inoltre ritenuta responsabile di attacchi personali negativi contro un collega, postati pubblicamente su Facebook. L’azienda ritiene che le dichiarazioni offensive contro il collega non fossero attività sindacali protette dalla legge federale».
L’INSULTO? DIRITTO SINDACALE - Lafe Solomon, in qualità di consulente generale dell’ufficio sindacale Usa, ha dichiarato invece: «Questo è un caso semplice e lineare che ricade sotto il National Labor Relations Act. Che ciò avvenga su Facebook o alla macchinetta del caffè, i dipendenti hanno il diritto di parlare insieme delle loro condizioni di lavoro, anche come in questo caso a proposito del loro supervisore». La legge Usa fornisce infatti ai lavoratori il diritto, protetto dallo Stato federale, di formare dei sindacati, e proibisce agli imprenditori di punire i lavoratori - appartenenti o meno ai sindacati - per il fatto di discutere delle condizioni di lavoro o delle azioni sindacali.
In attesa della sentenza, resta aperta la questione: le aziende dovrebbero avere il diritto di stabilire e rafforzare delle regole aziendali su quello che si può o meno pubblicare on-line su di loro? O i commenti sui social network dovrebbero essere protetti da ogni possibile sanzione disciplinare nei confronti dei lavoratori?
Nessun commento:
Posta un commento